(Seconda e ultima parte) Appiattimento sui precedenti, più velocità, meno discussioni: il nuovo modo di pensare e di scrivere riguarda magistrati e avvocati. Cosa sta succedendo e chi ci rimette.
L’appiattimento sui precedenti
Si nota già adesso, da qualche anno, un pericoloso appiattimento dei giudici sui precedenti, che risulta molto comodo per decidere rapidamente una determinata vicenda senza dover compiere gli opportuni approfondimenti. «Sul punto c’è un precedente conforme della Cassazione, l’orientamento consolidato è questo», sembrano dire molte sentenze, esprimendo il ragionamento dei giudici, e così la vicenda è chiusa. Del resto dal 2009 una riforma del Codice di procedura civile ha consentito che le ragioni della decisione possano essere fornite non con una disamina analitica, ma anche, e più semplicemente «con riferimento a precedenti conformi», cioè con il mero richiamo di altre decisioni alle quali si rinvia, punto.
La violazione delle regole processuali
In giurisprudenza da qualche anno si sta affermando il «principio della ragione più liquida», in base al quale, se nei giudizi di secondo o di ultimo grado si lamentano violazioni processuali – ad esempio, del diritto al contraddittorio fra le parti o dell’esercizio del diritto di intervento e di difesa – ma il giudice ravvisa altri motivi, più assorbenti e sostanziali, che gli consentono di arrivare a una decisione nel merito, può sorvolare e scavalcare le questioni dedotte dal ricorrente sotto il profilo della violazione delle regole del rito.
Il ruolo degli avvocati
Purtroppo questa prassi semplificatoria dei magistrati ha contagiato anche gli avvocati, che tendono anch’essi a ragionare «per precedenti», contandone il numero, la fonte e la data: si dà prevalenza alle pronunce della Corte di Cassazione, specialmente a quelle più recenti. D’altronde i legali ben sanno che gli appelli e i ricorsi per cassazione rischiano una declaratoria di inammissibilità – cioè vengono scartati subito, senza essere decisi nel merito – se si discostano dai precedenti consolidati, e dunque il giudice ritiene che le tesi esposte dal ricorrente non abbiano alcuna probabilità di accoglimento.
Inoltre, già oggi se il legale suggerisce di intraprendere comunque una causa, nonostante i precedenti contrari e difformi, rischia di dover risarcire i danni al cliente e di subire un procedimento disciplinare dal proprio ordine forense. Insomma, l’avvocato – che, come il giudice, dovrebbe essere soggetto solo alla legge – in realtà sta diventando sempre più dipendente dagli orientamenti della giurisprudenza, e sono guai per lui se non li considera e non vi si attiene.
Cosa rischiano i cittadini
Anche i cittadini subiscono gli effetti di questa impostazione, perché rischiano una condanna per “lite temeraria” se intraprendono un’azione giudiziaria infondata, pretestuosa o dilatoria: e questi parametri vengono valutati alla luce della giurisprudenza vivente e dominante.
Così la giustizia tende sempre più a funzionare in adeguamento all’opinione prevalente nella maggioranza, la tendenza “di moda”. C’è, e ci sarà, sempre meno spazio per tesi ed argomentazioni innovative, evolutive o fantasiose che dir si voglia; ma perseguendo a tutti i costi l’obiettivo della rapidità dei processi, il rischio è quello di buttare via il bambino con l’acqua sporca, e di tagliare fuori vicende particolari che invece richiederebbero tutela giuridica, pur non rientrando nei precedenti già decisi, ma anzi proprio per il fatto che si discostano da quegli schemi consolidati.
Banche dati e giustizia predittiva: cosa succederà?
Nell’epoca attuale la ricerca dei precedenti è enormemente facilitata dalla disponibilità di banche dati – molte anche gratuite – in cui basta inserire determinati parametri di ricerca (nomi degli istituti giuridici e/o norme) per ottenere subito, in risposta, la lista dei provvedimenti giudiziari di interesse; in passato per reperire i precedenti bisognava andare in una biblioteca specializzata o acquistare quei volumoni di raccolte, commentari e riviste giuridiche che ancora adesso fanno sfoggio nelle librerie degli studi legali più prestigiosi. Ma il cliente, quando va dall’avvocato per chiedergli un qualificato parere e valutare se impostare una causa, vuole sapere come la pensano i giudici e cerca di capire quali sono le probabilità di accoglimento della sua domanda o tesi: quindi punta subito a conoscere, prima di tutto, quali sono i precedenti, anziché sentire l’opinione in materia, per quanto autorevole e saggia, del suo avvocato. Questo apre ampi margini a quella che viene chiamata «giustizia predittiva»: se la decisione giudiziaria si fonda, essenzialmente, sui precedenti, basta conoscere quelli e adeguarsi. Ma questo lavoro non richiede una grossa preparazione giuridica o una buona capacità di ragionamento, tant’è che alcuni prefigurano che in futuro potrebbe essere svolto tranquillamente da un algoritmo: si arriverà così al giudice robotizzato? E quali spazi avranno gli avvocati, se non quello di raccontare, in un buon linguaggio, i fatti di causa al giudice, ma senza più arrivare a proporre e suggerire interpretazioni delle norme? Per fare questo non ci sarebbe bisogno di un esperto di diritto, basterebbe un valido narratore. Sono questioni aperte, che meritano un’adeguata riflessione.
(fonte: www.laleggepertutti.it)