Il governo Meloni ha fallito sul piano legale e dei diritti fondamentali nella vicenda Almasri, ignorando gli obblighi internazionali previsti dallo Statuto di Roma e ribaditi dall’articolo 86, come sottolineato dal Gruppo Diritti Umani che evidenzia il dovere dell’Italia a cooperare pienamente con la Corte penale internazionale. Ha voltato le spalle all’ordine di arresto emesso dalla CPI contro Almasri, un individuo ricercato per crimini di guerra e contro l’umanità, come riportato da diverse fonti che documentano la cronologia del mandato internazionale e la successiva scarcerazione ingiustificata. Questa condotta rivela un pericoloso disprezzo per il principio di accountability verso i crimini più atroci, un principio che costituisce il nucleo stesso del diritto penale internazionale e che lo Stato italiano dovrebbe perseguire con la massima fermezza per preservare la credibilità del proprio ordinamento. Rinunciare a tale responsabilità e mascherare l’inazione con presunte questioni di sovranità è un tradimento dei valori umani e giuridici sui quali si fonda lo Stato di diritto. Il governo, invece di garantire la piena applicazione della legge 237 del 2012 che regola la cooperazione tra l’Italia e la CPI, ha optato per una gestione opaca, lasciando che un comandante accusato di detenzione illegittima e tortura uscisse indenne dalle aule di giustizia internazionali, cosa che implica un chiaro fallimento nella tutela effettiva delle vittime di tali crimini. Non si tratta di un infortunio politico, bensì di un grave vulnus all’ordine legale transnazionale, un segnale devastante per coloro che credono nella necessità incontestabile di punire i responsabili di atrocità. I sostenitori di questa linea difensiva tentano di minimizzare l’episodio sostenendo la tesi del mancato coordinamento tra livelli di giurisdizione, ma ciò non toglie che l’esecutivo avesse il compito morale e giuridico di applicare i trattati ratificati e rispettare le prerogative della CPI.