MANI PULITE 30 ANNI DOPO: DAL GIUSTIZIALISMO ALL’INGIUSTIZIA (PARTE 1/2)

Ricostruzione dei momenti focali di un’inchiesta divenuta leggendaria, nel bene e nel male, nata per dichiarare guerra alla corruzione e ai rapporti proibiti tra politica ed economia, ma poi finita per mietere vittime, tra suicidi eccellenti e piazzate mediatiche, dalla brama di giustizia popolare (forse un’anteprima del sovranismo antipolitico di oggi?) agli errori, spesso sbalorditivi, di teoremi accusatori che disegnavano crimini e criminali solo sugli atti delle procure. Alla fine, trent’anni dopo, cosa resta se non un amaro ricordo di un’occasione sprecata, per tutti?

MANI PULITE E LA FINE DELLA PRIMA REPUBBLICA

Tutto ebbe inizio a Milano, in un tranquillo lunedì di febbraio del 1992, quando un ex poliziotto, divenuto magistrato, compì un gesto che avrebbe segnato definitivamente la storia della Repubblica italiana. Il suo nome era Antonio Di Pietro, definito “eroe popolare”, protagonista indiscusso di quella stagione politica conosciuta da molti come “Tangentopoli”.

L’obiettivo di Di Pietro era molto semplice: porre fine definitivamente al fenomeno di “dazione ambientale”, ossia quella consapevolezza, o meglio “situazione soggettiva”, che in un determinato ambiente si usasse dare e/o ricevere “mazzette” senza alcun ammiccamento da parte del corruttore, elemento tipico del reato di corruzione, o di minaccia o induzione da parte del pubblico ufficiale, quest’ultimo invece proprio della concussione. Pertanto, era necessario mettere la parola fine a quel sistema di clientelismo di cui l’Italia era ritenuta succube da tempo.

Da qualche parte, da qualcuno cioè, bisognava pur cominciare. All’epoca, il Partito Socialista Italiano, con a capo Bettino Craxi, con il solo 10% dei voti dominava il Paese, un po’ con i democristiani e un po’ con i comunisti. Proprio all’interno del PSI venne individuata una figura “intoccabile”: Mario Chiesa, presidente del Pio Istituto Albergo Trivulzio, struttura nota come “la Baggina”, la casa per anziani più famosa in Italia. Chiesa era già finito nel mirino della Procura, la quale aveva indagato su di lui senza successo, fino a quando non venne colto sul fatto. Con un escamotage della Procura milanese, e grazie anche alla collaborazione di un imprenditore vittima di questo sistema, Luca Magni, il presidente della Baggina fu arrestato subito dopo aver ricevuto una tangente di 7 milioni di lire. “Chiesa l’abbiamo preso con le mani nella marmellata”, esclamò Di Pietro ai giornali. E fu così che quell’inchiesta trovò il suo nome: Mani pulite.

 

GIUSTIZIA O GIUSTIZIALISMO?

Furono circa 41 le persone che si tolsero la vita in carcere, fuori dal carcere, o addirittura prima di essere ufficialmente indagate. Il primo di questa lunga lista fu Renato Amorese, ex segretario del PSI di Lodi che, il 17 giugno 1992, dopo essere stato indagato dal PM Di Pietro, per una presunta tangente di 400 milioni di lire, si sparò alla tempia. A seguirlo, il deputato del PSI Sergio Moroni che aveva ricevuto due avvisi di garanzia dai magistrati milanesi che avevano anche inviato alla Camera la richiesta di autorizzazione a procedere.

Famosa la lettera di Moroni indirizzata all’allora presidente della Camera dei Deputati Giorgio Napolitano nella quale parlò di ipocrisia e sciacallaggio e di un processo sommario e violento, rifiutandosi di essere definito un “ladro” e dichiarandosi innocente. L’anno successivo, nel giro di tre giorni si verificarono altri due suicidi clamorosi: ritrovato con la testa infilata in sacchetto di plastica fu l’ex presidente Eni, Gabriele Cagliari, detenuto da oltre quattro mesi, e di Raul Gardini, il padre di Enimont, finito nel mirino dei magistrati sempre per una presunta tangente da 150 miliardi, che si uccise con un colpo di pistola nella sua abitazione.

A fronte di questi episodi, risultarono ancora più severe le parole di Piercamillo Davigo, parte del pool di Mani Pulite: “la morte di un uomo è sempre un avvenimento drammatico. Però credo che vada tenuto fermo il principio che le conseguenze dei delitti ricadono su coloro che li commettono, non su coloro che li scoprono”. Da inchiesta a terremoto sociale, questo era diventata Mani Pulite.

 

Cosa successe poi? Vi invitiamo a leggere la seconda ed ultima parte qui.