Una giustizia lenta non è giustizia. Ma è questa la realtà italiana. Qui si presentano gli indicatori, i dati e il confronto con l’Europa. Ma soprattutto la lentezza della giustizia implica costi gravi – anche economici – per le aziende, immobilizzate dalla macchina legal-burocratica. Come velocizzare i tribunali?
IN ITALIA I PROCESSI SONO LENTI, MOLTO LENTI…
Quanto deve durare un processo civile? Quali sono i tempi “giusti” della giustizia? Sicuramente l’Italia non brilla per rapidità. Anzi. La lentezza della giustizia civile rappresenta uno dei problemi strutturali italiani. L’ultimo rapporto della Commissione per l’efficacia della giustizia del Consiglio d’Europa (CEPEJ) basato sui dati del 2018 ribadiva come l’Italia fosse tra i peggiori paesi europei per quanto riguarda i tempi delle controversie civili (qui un commento approfondito sulla lentezza dei processi). A peggiorare la situazione, è intervenuta la chiusura dei tribunali in seguito alla pandemia: infatti il 2020 ha registrato un significativo peggioramento del “disposition time”( detto anche DT), la misura utilizzata dal CEPEJ per valutare in maniera comparata la rapidità dei sistemi giudiziari nell’Unione Europea. Per rispettare gli obiettivi imposti dal PNRR, che prevedono una riduzione complessiva del disposition time di ben il 40%, servirà una marcata inversione di tendenza. Ad oggi, infatti, nessun tribunale di primo o secondo grado rispetta i target calcolati dal Ministero di Giustizia sulla base degli accordi previsti dal PNRR.
GLI INDICATORI PER LA DURATA DEL PROCESSO CIVILE
Bisogna precisare le variabili con cui misurare il “tempo” ma soprattutto l’efficacia o almeno la produttività dei tribunali in Italia (qui la fonte di Webstat Giustizia sugli indicatori della giustizia, con molti più contenuti):
DURATA EFFETTIVA (DE):
misura il tempo medio che è stato necessario per la definizione dei procedimenti conclusi nell’anno di riferimento. La durata è calcolata come differenza tra la data di iscrizione e la data in cui viene pubblicata la sentenza o il provvedimento di definizione È la misura utilizzata per il calcolo dell’indicatore di Benessere Equo e Sostenibile (BES) di efficienza della giustizia civile il cui andamento, a partire dall’annualità 2012, viene analizzato nel Documento di economia e finanza
DISPOSITION TIME (DT):
misura il tempo medio prevedibile di definizione dei procedimenti confrontando lo stock di pendenze alla fine dell’anno con il flusso dei procedimenti definiti nell’anno. È l’indicatore utilizzato a livello europeo, ai fini della pubblicazione del Rapporto della Commissione Europea per l’efficienza della giustizia (Cepej) e dello EU Justice Scoreboard della Commissione Europea.
CLEARANCE RATE:
è la misura utilizzata a livello europeo per monitorare, in ogni periodo di riferimento, la capacità dei sistemi giudiziari e dei singoli uffici, di smaltire i procedimenti sopravvenuti. Misura il rapporto tra procedimenti definiti e procedimenti sopravvenuti (CR =Definiti / Sopravvenuti). Il clearance rate è un indicatore della performance degli uffici laddove valori superiori all’unità (ovvero al 100%) indicano che sono stati definiti più procedimenti di quanti ne siano sopravvenuti con una conseguente riduzione dell’arretrato. Al contrario, valori al di sotto dell’unità (ovvero del 100%) indicano che il numero dei definiti è minore del numero dei procedimenti sopravvenuti e pertanto si verifica un aumento delle pendenze.
I NUMERI CONCRETI SULLA DURATA DEL PROCESSO CIVILE IN ITALIA
Nel 2019 il disposition time medio in Italia era di 588 giorni per i tribunali e di 654 giorni per le Corti d’Appello: per definire un procedimento servivano dunque in media circa 19 mesi in primo grado e 21 in secondo.
Nel 2020 si osserva un incremento generalizzato del disposition time, che aumenta in 131 tribunali (su 140) e in 27 Corti d’Appello (su 29).
Ecco qualche dato ufficiale dal Ministero di Giustizia per il periodo 2003 – 31 marzo 2022:
- Giustizia Civile:
- Giustizia Penale:
… E IN EUROPA, DOVE E’ PIU’ LENTA LA GIUSTIZIA?
Ecco il confronto con i paesi europei (fonte: Key4biz/TRUENUMB3RS):
La giustizia italiana è la più lenta dopo quella greca, in cui il disposition time è di 559 giorni. Dopo i due Paesi mediterranei in questa classifica dei peggiori vi sono altri del Sud Europa, Malta, Francia, Croazia, Spagna e Slovenia. In Francia si arriva a 420 giorni, in Spagna a 362.
Al contrario è la piccola Lituania il Paese più efficiente da questo punto di vista. A Vilnius e dintorni bastano meno di tre mesi, 82 giorni, per arrivare a una sentenza. Batte anche il Lussemburgo, dove ce ne vogliono 94, i Paesi Bassi e la Svizzera. Tra i 10 Paesi più veloci diversi sono dell’Est, Romania, Slovacchia, Ungheria, Cechia, Estonia. In questo caso è la vecchia Europa a essere più lenta. In Germania per esempio il disposition time è di 220 giorni, tra l’altro in peggioramento nel 2018 rispetto agli anni precedenti, quando si manteneva sotto i 200.
I COSTI E LE CONSEGUENZE DELLA GIUSTIZIA LENTA PER LE IMPRESE
Il tempo è denaro – ed è proprio vero, anche qui. L’eccessiva ed irragionevole lunghezza delle procedure giudiziarie provoca ripercussioni dannose sul piano economico alle parti del processo. Un’azienda, ad esempio, potrebbe subire il congelamento di interessi economici dai quali potrebbero derivare nuovi investimenti, nuovi posti di lavoro, nuovo gettito fiscale per lo Stato e altre nuove opportunità che beneficerebbe non soltanto l’azienda in sé, ma anche il resto della società.
Ma cosa ci perde, ad esempio, un’azienda a causa di un processo troppo lungo? Qui c’è un interessantissimo articolo sulla ricaduta economica (e non solo) della giustizia lenta sulle imprese.
Una risposta univoca a questa domanda non può esserci poiché la valutazione andrebbe fatta caso per caso. Quello che è indicabile è la forzata mancanza di opportunità; un congelamento di interessi economici dai quali potrebbero derivare nuovi investimenti, nuovi posti di lavoro, nuovo gettito fiscale per lo Stato che, moltiplicato per i contenziosi in essere, raggiugerebbe numeri da brividi se si pensa che nel 2019 i giudizi pendenti nella sola area civile hanno raggiunto il mezzo milione circa.
Ad ogni modo per la questione dell’irragionevole durata del processo il dito viene spesso puntato contro l’attuale codice di procedura civile ma, in realtà, se applicato alla lettera il processo assumerebbe comunque una durata ragionevole.
A un avvocato sarebbe facile prospettare l’esempio del classico rinvio ex art. 183 comma 6° c.p.c., che prevede un termine totale di 80 giorni per una ulteriore produzione di memorie volte a precisare l’atto introduttivo del giudizio o a produrre prove contrarie. A livello teorico quindi, dopo la prima udienza, la seconda potrebbe essere fissata già dopo circa 3 mesi ma, nella pratica, si arriva a rinvii che possono arrivare a due anni.
Il motivo non è certo l’assenza di voglia da parte del giudice di turno nel rispettare le previsioni del codice procedurale. È un altro: l’eccessivo carico di lavoro che pende sulle loro spalle.
Appurato che il nucleo del problema è l’insufficienza di organico all’interno dei tribunali, l’ampliamento del personale negli uffici giudiziari sarebbe il rimedio, il quale permetterebbe, tra l’altro, l’aumento di assunzioni tra i laureati in Giurisprudenza, una categoria copiosa nel mercato del lavoro italiano.
Ma qui si parla di riforme, di cui si parlerà in un prossimo post in calendario.
Grazie per l’attenzione