Finanziamenti illeciti ai partiti, corruzione, antiriciclaggio e appropriazione indebita. Sono solo alcuni dei reati che ruotano intorno, ormai da anni, al vecchio, ma celeberrimo, sindaco di Firenze. Ne parlano tutti, dalle testate più accreditate a quelle più sconosciute, e soprattutto, degli atti giudiziari non c’è traccia. Eppure, le accuse non sono da poco. Ma andiamo con ordine.
Un po’ di storia
Siamo nell’autunno del 2019, quando la Fondazione Open, o meglio la “cassaforte renziana”, diventa di pubblico dominio e si presenta come strumento volto ad agevolare la scalata di Renzi all’interno del PD. Ma la storia italiana insegna che i finanziamenti o qualsiasi forma essi assumano, non piacciono alla magistratura italiana. E’ così che
i militari della Guardia di Finanza, su ordine dei PM Luca Turco e Antonino Nastasi, eseguirono decine e decine di perquisizioni
nei confronti dei soggetti privati che avevano effettuato rilevanti donazioni alla Fondazione Open, di cui è stato presidente l’avvocato Alberto Bianchi. Con le perquisizioni sparse per l’Italia, furono sequestrati i bilanci della Fondazione e soprattutto la lista dei finanziatori. Quest’ultima fa scalpore, perchè sono presenti personaggi politici italiani, come Maria Elena Boschi, appartenente anche al CdA di Open, e società, quali British American Tobacco, Gruppo Garofalo, Gruppo Moby e Renexia.
Inchiesta Fondazione Open: vittime e carnefici
Il protagonista indiscusso dell’inchiesta, e forse anche il principale bersaglio della Procura di Firenze, è senza alcun dubbio Matteo Renzi. In questo caso i media sono molto chiari nel comunicare l’accusa: la Fondazione serviva a finanziare parte delle attività di Renzi, raccogliendo soldi dai privati, senza però rispettare i requisiti di trasparenza e tracciabilità e soprattutto agendo come “articolazione di partito”. Su quest’ultimo punto
si è espressa la Corte di Cassazione: “Open non è un partito”, bacchettando la Procura di Firenze,
che già non aveva considerato le precedenti pronunce della Suprema Corte sullo stesso caso e sulla disciplina circa le fondazioni politiche. Infatti, la questione era stata già oggetto di esame nel 2020 e nel maggio 2021, e aveva annullato le ordinanze della Procura sostenendo che non avesse rispettato i principi affermati nelle sentenze. Venendo quindi meno il pilastro su cui l’accusa si fondava, sorge spontanea una domanda: ma le accuse rivolte a tutti gli altri?
Non c’entravano nulla
Per molti l’inchiesta non è ancora finita, infatti è stato disposto il rinvio a giudizio. Altri però hanno potuto porre definitivamente un punto alla questione. È il caso di Lino Bergonzi, Amministratore Delegato della società Renexia, specializzata nella realizzazione di impianti producenti energie rinnovabili.
Sotto il profilo giuridico Bergonzi era stato accusato di false comunicazioni sociali e appropriazione indebita per l’acquisto della società Renexia, con l’autorizzazione di Bergonzi, diverse società operanti nel settore eolico a un prezzo superiore ricavando una plusvalenza di 950mila euro. Sulla vicenda, iniziarono le numerose speculazioni: Lino Bergonzi ha agito per conseguire un profitto. È questo il messaggio diffuso, seppur non vero. Sarà proprio la Procura ad affermalo,
chiedendo al giudice l’archiviazione della vicenda, poi comunicata sommariamente dai giornali.
L’ingiustizia, però, sta nel fatto che nessuno si è preoccupato di spiegare le ragioni. Nessuno si è preoccupato di scrivere che per Bergonzi la Procura ha ritenuto che l’elemento soggettivo dei reati per cui è stato accusato, ossia il profitto, non esisteva. Per concludere, e per onore del diritto di cronaca, che a quanto pare viene utilizzato e rivendicato solo quando fa comodo, non vi è notizia anche dell’accettazione da parte del giudice dell’archiviazione, che consente di chiudere definitivamente la questione.
E come Lino Bergonzi, quanti sono i casi sparsi per l’Italia di cui nessuno parla?
Qualcuno dovrebbe pur farlo, anche se forse profitto non ne ricava.