… E se il giudice lo facesse l’AI?

Tre punti di vista: lo scienziato, l’ottimista, lo scettico

Tra ottimisti e pessimisti, il workshop del BIF Talks 2023, ha cercato di fare il punto della situazione, in un momento a detta di tutti cruciale, partendo da uno dei settori in cui la transizione digitale che stiamo vivendo dovrebbe portare, almeno secondo i programmi governativi, i maggiori benefici: l’amministrazione della giustizia.

Ecco però che dal tema che ha dato il titolo a questa edizione, la Digital Justice, grazie all’intervento di esponenti delle aziende del Business Integrity Forum, di esperti della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa ed esponenti della Pubblica amministrazione e della Giustizia, il focus si è espanso, andando a toccare i nodi di una trasformazione che sta cambiando non soltanto il modo di fare impresa, ma gli stessi assetti sociali del nostro mondo.

Difficile riassumere il quadro finale emerso, troppo complesso per essere banalizzato, ma una sintesi potrebbe essere contenuta entro tre posizioni principali.

Il punto di vista dello scienziato

La prima è quella tecnico scientifica del professor Paolo Ferragina, docente del Dipartimento di Informatica dell’Università di Pisa, che ha spiegato come sia al momento impossibile sapere con esattezza cosa stiano combinando i grandi del mondo nel campo dell’Intelligenza Artificiale, in primis America e Cina. Le enormi risorse investite da governi e privati in quel campo dicono che, probabilmente, siamo ancora all’inizio di un percorso. D’altro canto, ha però spiegato Ferragina, esiste una gran parte della ricerca che sfugge completamente alla pur attrezzatissima comunità scientifica internazionale. Ecco, quindi, che l’auspicio dell’esperto pisano è che la cultura del dato divenga sempre più diffusa e trasparente, in un sistema multidisciplinare in cui gli informatici abbiano un approccio assolutamente etico, improntato alla “spiegabilità” del dato stesso. Cosa accadrà in futuro? Per Ferragina dovremmo domandarci cosa noi dovremmo far accadere. “L’AI – ha concluso il professore – tocca temi fondamentali e necessita di un approccio basato su collaborazioni multidisciplinari. Il futuro si definirà grazie alla collaborazione di diversi soggetti, attraverso la stretta sinergia tra tecnologia ed etica

Il punto di vista dell’ottimista

La premessa del docente universitario si pone tra due posizioni divergenti. Quella più ottimistica è stata illustrata da Paolo Tosca, Compliance Governance di TIM. “Il processo evolutivo della AI generativa può e deve essere governato – ha detto Tosca – Abbiamo una decina d’anni, secondo le analisi degli esperti, per trovare un nuovo assetto in cui i processi dovranno essere adeguati ai nuovi mezzi e alle professionalità rigenerate. Sicuramente, le aziende dovranno essere parte attiva nei processi, con governance e compliance integrate tra loro, in un quadro in cui l’AI dev’essere neutrale, onesta e utile”.

Il punto di vista del pessimista

Decisamente meno fiduciosa la visione di Nicola Allocca, Direttore Risk, Business Resilience, Integrity & Quality di Autostrade per l’Italia, che ha esordito con un secco: “Secondo me, l’AI in pochissimi anni avrà un impatto distruptive“. Poche, nette, parole, motivate dalla grande preoccupazione per una “nuova rivoluzione industriale, rapidissima, che ci impone di rivedere non soltanto i modelli di governance, ma la stessa vision delle aziende, ecco perché – ha detto Allocca – parlare di resilienza è più che mai necessario in questa fase“. In un quadro in cui l’AI andrà a sostituire gran parte delle funzioni umane, Allocca si fa una domanda: “L’AI presto non sarà uno strumento, ma un vero e proprio nuovo collega seduto al nostro fianco. Avrà un cuore questo collega?” Si torna, dunque, al tema etico, che, ovviamente, non è limitato alla sola AI, e che necessità di rinnovato vigore, a tutti i livelli.

Il grande impulso del digitale nella giustizia civile

Torniamo al tema di partenza: Digital Justice.

Un’immagine, illustrata da Eleonora Polidori, presidente della sezione civile del Tribunale di Pisa, ha colpito per l’estrema efficacia. “Fino a pochi anni fa –  ha spiegato il magistrato, tra i fautori del progetto Giustizia Agile – il mio ufficio era letteralmente invaso da migliaia di fascicoli, tutti cartacei, tutti sostanzialmente fini a sè stessi, nel senso che, non essendo raccolti in un data base, non potevano dare origine ad alcuna statistica e perdevano la loro stessa ragione di esistere con il passare del tempo. Oggi, il mio ufficio è completamente sgombro e ogni procedimento ha sede in un cloud a cui posso accedere in qualsiasi momento, ovunque possa disporre di una connessione, da cui posso ottenere qualsiasi atto facente pare del processo, nessuno escluso“.

La digitalizzazione nel processo civile ha raggiunto, dunque, livelli di grande efficienza, anche se l’intero sistema necessita tuttora di ulteriori sforzi organizzativisforzi che il PNRR dovrebbe supportare con l’implementazione di progetti e riforme entro il 2026.

Un progresso avvenuto anche grazie alla sinergia tra gli uffici giudiziari e il mondo dell’Università. “La giustizia è una parte fondamentale della società, come tale non può sottrarsi alla transizione digitale – ha spiegato Gaetana Morgante, docente di Diritto Penale e direttrice dell’Istituto Dirpolis della Scuola Superiore Sant’Anna che ha avuto ruolo attivo in questa sinergia – “La digitalizzazione della giustizia – ha aggiunto – non deve essere immaginata come una mera automazione e standardizzazione di risposte e la conseguente marginalizzazione dell’intervento umano. Su ogni procedimento dev’essere mantenuta lo human oversight e deve essere sempre assicurata l’accountability di ogni decisione presa. Quel che è certo – ha concluso – è l’importanza della raccolta dei dati, perché la qualità del dato determina il funzionamento del sistema“.

L’importanza del dato. Ma non soltanto

Proprio attorno a questo aspetto, la formazione e il trattamento del dato nel contrasto alla corruzione, è ruotato il mini-confronto tra Giuseppe Di Vetta, assegnista di ricerca in Diritto Penale della Scuola Superiore Sant’Anna, e il direttore di Transparency International Italia, Giovanni Colombo.

Il tema della misurazione della corruzione ha una portata strategica – ha detto Di Vetta utilizzando la definizione di “battaglia degli indicatori” nel presentare un’importante ricerca della Scuola Superiore Sant’Anna che ha l’obiettivo di qualificare il fenomeno corruttivo nel nostro Paese attraverso l’utilizzo di un software per l’analisi automatica del linguaggio (text miningapplicato a un campione di circa 10mila sentenze emesse dalla Corte di Cassazione negli ultimi 20 anni.

Grazie al nostro software – ha spiegato Di Vetta – siamo in grado di qualificare il fenomeno corruttivo, isolandone coordinate temporali, geografiche e qualitativeUn metodo empirico che può integrarsi con quello percettivo utilizzato per la costruzione dell’Indice di Percezione della Corruzione CPI di Transparency International.

Il programma di digitalizzazione – ha detto Giovanni Colombo – che sta investendo il Paese, con grandi evoluzioni sulla qualità e sulla gestione statistica dei dati – reati, sentenze, analisi territoriali – potrà portare luce di comprensione sul fenomeno corruttivo, auspichiamo sinergie di convergenza sempre più ampie tra studi percettivi e studi dati oggettivi. Ma intanto è bene comprendere al meglio ciò che abbiamo ora, l’indice di Percezione della Corruzione (CPI) di Transparency International, compara i dati tra nazioni a livello mondiale e si basa sulla percezione riscontrata nel settore pubblico ad opera di esperti e uomini di impresa; a nostro avviso il buon lavoro di integrity svolto negli ultimi anni in Italia nel settore privato, meriterebbe di avere la considerazione di una quota parte nel calcolo dell’indice, con immaginabili benefici per la reputazione del sistema Italia in generale“.

Cosa sta succedendo in concreto in Italia?

Il contrasto alla corruzione passa anche attraverso una sua possibile “misurazione”. Lo sa bene Italo Borrello, dell’Unità di Informazione Finanziaria per l’Italia – l’ente che processa tutte le segnalazioni sospette in materia di antiriciclaggio. “Nel 2022 abbiamo avuto oltre 155mila segnalazioni – ha detto – un numero elevato, che descrive un Paese attento alla normativa, ma che ci impone anche di lavorare a un miglioramento delle segnalazioni stesse, che necessitano di diventare sempre più precise e contestualizzate“.

Del resto – gli ha fatto eco Roberto Giambelli, Advocacy Officer di Transparency International Italia – uno dei passaggi fondamentali nella lotta al riciclaggio e alla corruzione sarà l’istituzione del Registro dei titolari effettivi delle imprese. Strumento di cui non siamo ancora dotati e che, con enorme fatica, è in via di costituzione. Ne abbiamo urgente bisogno – ha aggiunto Giambelli – perché, come detto dal Presidente di Anac, Giuseppe Busia – Siamo di fronte a un’escalation dell’opacità, che va a minare la stessa democrazia per la perdita di fiducia dei cittadini“.

Lo sappiamo bene e stiamo facendo il possibile in termini di trasparenza e comunicazione nell’attuazione del PNRR – ha concluso poi Armando Anastasio, dirigente delle attività per PNRR e digitalizzazione al Ministero delle Imprese e del Made in Italy – perché la trasparenza è un diritto di imprese e cittadini e un nostro primario dovere. Del resto, i fronti aperti sono molti e strategici. Oltre che sulla Missione uno: Digitalizzazione, Innovazione e Competitività siamo impegnati anche sulla Missione due: Transizione ecologica, quattro: Istruzione e Ricerca e cinque: Inclusione e coesione, anche se molti dei nostri sforzi sono concentrati sul sostegno all’innovazione tecnologica, con una nuova frontiera “spazio” con tecnologie satellitari e “hightech”.

 

(fonte: Transparancy.it)