Esiste un principio cardine dei diritti civili, e anche della nostra Costituzione che porta con malsana frequenza tanti innocenti dietro le sbarre. La presunzione di innocenza prevede infatti che un imputato non possa essere dichiarato colpevole fino a sentenza definitiva e passato in giudicato. Si tratta di un architrave dello Stato di diritto a garanzia degli individui contro il potere organizzato, ma che incontra notevoli resistenze nell’applicazione nonostante casi eclatanti, storici, che però evidentemente non ci insegnano nulla.
ARRESTO SPETTACOLO DI ENZO TORTORA
Sono infatti passati 40 anni dal caso di Enzo Tortora, il celebre conduttore tv che la mattina del 17 giugno del 1983 venne arrestato dai carabinieri sulla base di alcune “confessioni” di tre presunti “pentiti” di Camorra. Purtroppo, uno degli errori più marchiani di sempre della nostra giustizia. I tre criminali accusarono il personaggio televisivo, il volto di “Portobello” – programma RAI che raccontava il mondo dei mercatini di artigiani e collezionisti – di essere l’anello di congiunzione della catena di spaccio di cocaina tra la criminalità organizzata e il mondo dello show-biz. Uno “spiffero” che i tre camorristi inventarono di sana pianta per potersi guadagnare qualche sconto di pena e qualche beneficio carcerario.
Tuttavia, sull’onda del clamore, e probabilmente con il desiderio di guidare un’inchiesta sconvolgente e che li avrebbe resi celebri, gli inquirenti non svolsero gli opportuni accertamenti e non fecero gli opportuni riscontri. Come se bastasse un’accusa per mandare qualcuno dietro le sbarre. Risultato: Enzo Tortora passò sette mesi agli arresti tra carcere e domiciliari e poi altri tre anni di calvario giudiziario per dimostrare la sua innocenza. La Corte di Appello di Napoli sancì la sua totale estraneità alle accuse, ma le immagini dei militari dell’Arma che trascinano l’uomo in manette furono un peso troppo grande da sopportare.
LA GOGNA MEDIATICA
La gogna mediatica per Tortora fu devastante, un episodio perfetto di “sbatti il mostro in prima pagina”. Il conduttore tornò in televisione nel 1987, circondato dal palese imbarazzo di tutti quelli che avevano avuto ansia e fretta di puntare il dito e condannarlo, ma anche dall’affetto del pubblico. Celebre, e simpatica, la sua prima uscita alla ripresa della conduzione di Portobello: “dunque, dove eravamo rimasti?”. Tuttavia, il dolore sofferto fu enorme tanto che poco dopo Tortora si ammalò irrimediabilmente per spegnersi nel mese di maggio del 1988.
Si tratta del “primo caso di manette spettacolo” (copyright Giorgio Bocca), da cui la vittima non si riprese mai più e da cui l’Italia, nonostante siano passati quattro decenni, un film (“Un uomo perbene”), una fiction (“Dove eravamo rimasti?”), una lunga battaglia da parte del Partito Radicale e soprattutto molti altri casi simili… ha imparato ben poco. Troppo spesso, ancora oggi, la carcerazione preventiva è usata in maniera distorta. Ai tempi di Mani Pulite, per esempio, veniva utilizzata per estorcere le confessioni. Successivamente, è servita per trovare sbrigativamente dei colpevoli da dare in pasto all’opinione pubblica.
Tuttavia, per mettere una persona agli arresti servono dei requisiti precisi. Lo dice la Costituzione ed è un principio di civiltà giuridica. In particolare, deve ricorrere almeno uno delle tre seguenti fattispecie: la possibilità di reiterazione del reato, il rischio di inquinamento delle prove o di pericolo di fuga. Eppure, troppo spesso, in maniera sommaria, la magistratura si arrende alla spettacolarizzazione. Dimenticando un sacro principio che si insegna in qualunque facoltà di diritto: meglio cento colpevoli in libertà che un innocente in galera.